“Che non si può far molto

[…] in questa
isola di santi
e tu non hai più senso
quando è sera
e non si può far molto contro
i presidenti
e comunque posi l’ascia
a primavera

Ho scelto questa canzone dei Ministri per introdurre l’argomento, forse in maniera un po’ criptica, sottile, al contrario delle chiassose parole che ogni giorno risuonano intorno a noi quando si parla di politica e della volontà di cambiare. Cambiare cosa? Qualsiasi cosa. Ognuno ha la sua visione e le sue priorità: chi da il primato all’occupazione, chi all’istruzione, chi agli emigrati o alla sicurezza. Sono molte le cose che vorremmo cambiare, questo è poco ma sicuro. Siamo come una massa di psichici operosi pronti a immolarsi contro il Destino (vedi post precedente).

Per quanto mi riguarda sono giunto a una conclusione, maturata nel tempo (e ce n’è voluto parecchio) ma sono più tranquillo ora. La questione per me era abbastanza importante, in quanto verteva sulla definizione di me stesso. Definire il sé, la propria identità, è qualcosa che facciamo continuamente, ed è indispensabile. Nella fattispecie, mi crucciava da un po’ di tempo capire se potessi avere un’appartenenza politica di qualche genere, io che ho sempre fatto valere la mia individualità contro il gruppo, decidende in molti casi di non far parte di nessuno, e pur mettendo in chiaro la mia posizione, mia soltanto.
Ho pensato che forse ci poteva essere spazio per me “a sinistra”, ovvero in ambienti che dessero maggior importanza alla socialità, agli interessi comuni, alla tutela dei meno abbienti, alla lotta contro la discriminazione e alla libera espressione di ognuno. Lasciando perdere i partiti politici, che condanno, ho provato a conoscere meglio le realtà dei movimenti: realtà che partono dalle esigenze sentite e condivise, e cercano di costruire un percorso in maniera il più democratica possibile e con effetti incisivi, reali. Ad una appartenenza di questo tipo, che per inciso si basi sul rispetto della Costituzione italiana, garanzia del Diritto e dei diritti dei cittadini del Paese, e sul valore di una repubblica democratica e di una Nazione unita, ho sempre contrapposto un’altra posizione molto cara a me nell’intelletto, a livello teorico, ovverosia l’anarchismo. Anarchia come organizzazione, l’Utopia di un’organizzazione non gerarchizzata, in cui tutti possano vivere come fratelli, in maniera solidale, senza bisogno di leggi se non il rispetto della libertà altrui e una valenza etica-morale alta della propria coscienza. Nazione-Democrazia VS Anarchia. Un duello arduo da combattere: l’anarchismo l’ho sempre visto poco praticabile e “non di questo mondo”, per usare parole legate in realtà alla religione cristiana. Insomma, sposare la causa democratica perchè “meno peggio” di tutte le altre, e cercare di farla funzionare al meglio. Del resto come ho detto più volte ad amici “Meglio un buon re che un cattivo parlamento” intendendo con questo, anche in modo un po’ provocatorio, che “sarebbe persino meglio avere come guida una sola persona purché seguisse un’etica alta, piuttosto che essere rappresentati da una serie di omuncoli bassi e viziosi”. Questi pensieri sono sedimentati a lungo nella mia coscienza finché non sono giunto a una conclusione: non ha importanza “chi sei” ma “cosa fai”. E’ quello che fai che ti definisce, non il nome che ti dai. Ovvero:  Non ha importanza essere “di sinistra” o “anarchico”, né essere “di destra” o “cristiano”. Quello che ha veramente importanza è quello che fai, come agisci, secondo quale coscienza ti muovi, cosa consideri giusto e sbagliato e cosa fai per rendere migliore il mondo. Non ho quindi bisogno di riconoscermi negli anarchici, o nella sinistra, più di quanto non abbia bisogno di riconoscermi tra i cristiani, o gli individualisti, o altri ancora.. Ciò che io credo bene e male, ciò che io compio in relazione a questo, e come io mi impegno per rendere migliore il mondo, cambiandolo, mi definisce e mi avvalora più di qualsiasi etichetta.

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