In risposta a Saviano

Sul sito GlobalProject.info (lo trovate tra i miei Link) ci sono una serie di analisi personali sul 14 dic da parte degli studenti, nonché alcune lettere-risposta alla lettera di Saviano. Scelgo di pubblicarne una ma vi invito a leggerle tutte, perchè in quanto genuine possono contribuire a dare un più ampio ventaglio di visioni e interpretazioni del 14 dic e dei suoi fatti. Come ho già scritto, personalmente sono contrario alla violenza, credo che sia sbagliata ma soprattutto che non paghi, non dia nulla rispetto a un percorso di crescita individuale e collettivo di miglioramento, elevazione. Ed è proprio di elevazione che abbiamo bisogno, temo, a giudicare dal baratro fangoso della politica italiana in cui si agitano le sorti del Paese. Se pure fosse possibile, non penso che togliere di mezzo il governo Berlusconi con la forza sarebbe una vittoria: né lo sarebbe far saltare in aria il Parlamento. Sarebbe una violenza gratuita alla collettività. La vera rivoluzione deve farla ognuno dentro di sé, e collettivamente: solo così il cambiamento verrà di pari passo, condiviso e ineluttabile.

Gli “idioti” rispondono

Risposta a Saviano dagli studenti napoletani

17 / 12 / 2010

Tante saranno le risposte che arriveranno e che già sono arrivate da più parti dopo l’odiosissima lettera che Robero Saviano ha scritto su Repubblica. Tante saranno le reazioni, le polemiche, gli assensi, e le corali forme di approvazione che la lunga missiva genererà entro l’originale panorama dell’opinione pubblica del paese. Noi arriviamo già con un giorno di ritardo, ma proviamo a determinare un punto di vista anche se dilazionato come frutto di una condivisione e di una relazione. Noi scriviamo perché la nostra è una risposta collettiva. La nostra riposta ha la coralità che spaventa ogni tentativo di sfilacciare un tessuto sociale compatto ed eterogeneo; ha il potere di smentire il disperato tentativo di tracciare una cortina tra pacifici rappresentanti dell’istanza di un paese migliore nonché democratico e i pochi “imbecilli” bardati e incappucciati, addestrati alla violenza urbana e portatori di disordini per professione. L’essere collettiva della nostra risposta ha il potere di smentire anche gli eroi di carta, perchè racconta le voci di una storia vera e non le suggestioni di una paranoia. Questa lettera, che viene dalle facoltà occupate, che esce dai luoghi della formazione, dagli stessi luoghi che per anni hanno provato a resistere costantemente alle politiche di smantellamento del futuro di una intera generazione che di anno in anno aumenta le sue reclute, si assume una risposta ferma alle accuse di Saviano, accuse che provano una delegittimazione arrogante e una descrizione strumentale di una giornata davvero complessa e la cui descrizione sta certamente fuori della corsa all’estemporaneo.

La celerità, in generale, è un modo spettacolare di stare sulla cronaca. La celerità non è il dispositivo ermeneutico che doveva essere messo in campo soprattutto in forme non televisive, ma scritte e dunque pretestuosamente razionali e ragionevoli. La volontà di sconfessare ogni legame con una piazza infiammata a costo di non capire nulla delle fiamme che in essa bruciavano è un errore che oggi denunciamo noi, ma che riteniamo che il futuro prossimo venturo finirà per sconfessare apertamente a tutti quanti si sono assunti la fretta prima dell’analisi. Saviano è tra questi. Saviano è tra coloro i quali hanno provato a differenziare i momenti,a segnare un dentro e a dividerlo da un fuori,a cercare i buoni e i cattivi, mettendo in opera un meccanismo incredibilmente obsoleto e profondamente inadeguato all’interpretazione dei fatti del 14 Dicembre.

Saviano ha commesso errori di valutazione certamente per noi eclatanti, ma ha pure distorto alcuni fatti obiettivi e non passibili di interpretazione. Non esiste una storia interottasi il 13 Dicembre ed una nuova e violenta cominciata ed apertasi con il 14.

La piazza del 14 Dicembre infatti non era diversa da quella che ha ospitato i “cortei pacifici e democratici” che Saviano ha citato come contraltare all’ ingestibilità della giornata di martedì, essa è stata casomai una spontanea prosecuzione di quei momenti di rappresentazione del conflitto che non avevano inciso sufficientemente, non essendo in grado a soggettivare la generazione zero, precaria, intermittente, senza futuro e a renderla protagonista della risposta che questo paese deve dare dal basso alla gestione della crisi. Gli stessi corpi e le stesse vite di precari, studenti e lavoratori intermittenti o quasi spenti che occupavano le strade della capitale martedì avevano composto le mobilitazioni sparse nel paese il giorno dell’approvazione del ddl Gelmini, un esercito di corpi e vite forse messe ancor più valore dall’imposizione massiccia della gioventù precarissima del popolo dei diciottenni, e che accoglieva al suo interno anche gli abitanti di Terzigno, i Comitati di Chiaiano e Giugliano, i cittadini dell’Aquila, i migranti di Rosarno, e tutte le pluralità sociali che hanno fatto della propria esistenza una lotta quotidiana all’ l’illegalità, al malcostume, all’arroganza e la prepotenza del Comando, alla sua intromissione violenta, quella sì, nelle vite e nei territori. La piazza di martedì ha subito nella storia della sua composizione la violenza dell’imposizione del silenzio dei propri drammi e il sopruso di meccanismi di appropriazione e schiacciamento che si esemplificano nel dramma del terremoto e della mancata ricostruzione de L’Aquila, nell’apertura delle discariche che devastano territori e ammalano le comunità, nel diritto all’esistenza negata ai migranti di Rosarno, e in tutte le storie di vita sottratta anche alla sopravvivenza che il nostro paese produce ogni giorno . La piazza di martedì era quella che ogni parte politica ha coccolato e “giustificato” nei giorni precedenti la grande manifestazione, ed è la stessa piazza che alla notizia della fiducia ottenuta dall’imperatore per tre voti comprati, ha sentito collettivamente l’istanza di attraversamento della zona rossa, della fossa di pescecani scavata dal Governo a difesa del castello dei”venduti” ,dei “mafiosi”. Il livello di saturazione della sopportazione raggiunto dalla generazione precaria e dai senza futuro vittime della crisi e della sua austerity strumentale, ha composto l’eccedenza di quella piazza . Il suo riscontro è fuor di retorica, nella composizione della pluralità che ha provato l’oltrepassamento della zona interdetta al corteo e dimostra una composizione di giovani e giovanissimi, determinati a raggiungere il Parlamento, non violenti di professione ma autori di un necessario uso sociale della forza , per niente soli, per niente diversi dagli altri, anzi supportati dagli applausi ininterrotti di chi gli stava dietro. Crediamo, dopo aver attraversato quella piazza, dopo averla riempita della nostra rabbia e della nostra necessità di insurrezione e di rivolta, che il paradigma di classica contrapposizione tra violenza e non-violenza sia insufficiente particolarmente se riferito a Piazza del Popolo. Crediamo fermamente che la gestione dei poteri di questo paese, la trama sottilissima dei malgoverni, abbia espresso soprattutto negli ultimi anni un volto di efferata violenza e di brutale chiusura degli spazi di democrazia.

Crediamo fermamente che alle sottrazioni messe in atto dal Governo e dai governi di questo paese sia necessario rispondere con altre ed opposte sottrazioni, rivendicazioni dal basso, affermazioni di esistenza che prevedano anche forzature. Crediamo che l’irrapresentabilità del popolo di Piazza del Popolo esiga quantomeno la capacità di capire cosa e chi ha mosso le gesta di chi si è sottratto al divieto. Esigiamo che chi crede di poter prendere parola in nome di un punto di vista intellettuale lo faccia senza utilizzare appellativi fuori luogo, senza provare a ridurre lo scontro in piazza ad una dimensione ludica o magari ad un videogame. Lo esigiamo perchè di ludico non c’è nulla. Quello di cui parliamo ha un dato di serietà fortissimo e non ammette nessuno spazio alla marginalizzazione o alla volontà di sminuirne il valore.

Sappiamo che l’esistenza di tutti i giorni non è un gioco per nessuno di quelli che erano a Roma il 14 Dicembre, caro Saviano. Sappiamo che la presenza massiccia per quelle strade era determinata ad esprimere sfiducia al governo Berlusconi sì , ma pure dissenso verso l’insopportabile ipotesi dell’avvento di un nuovo manipolo di affaristi pronti a proseguire l’operato reazionario di questo governo, pronti ancora a tagliare sulla spesa pubblica, pronti ancora ad invadere i nostri territori in nome della modernizzazione o dell’emergenza, pronti ancora a lasciare inascoltate tutte le voci dell’alterità. Ecco perchè non accettiamo che si provi strumentalmente ad attribuire a quella piazza la fiducia ad un governo illegale ed illegittimo, perchè in piedi grazie alla compravendita vergognosa dei voti dell’opposizione. Ecco perchè non accettiamo di essere strumentalizzati come eventuali artefici della stagnazione politica di questo governo e di questo paese e troviamo politicamente e culturalmente meschina l’operazione di Roberto Saviano. Noi stiamo dall’altra parte. Noi siamo la contraddizione. Noi ervamo a Roma per sfiduciare. Non dovremmo dire queste cose e non dovremmo neanche scriverle. Dovrebbe accadere che si dia spontaneamente l’assioma formulato solo dalla stampa estera, che recita: Berlusconi, fiducia in parlamento, sfiducia nella piazza. Invece le diciamo e le scriviamo per provare a contrastare il dilagare di una moda della presa di distanza e della condanna, per provare a dare voce e volto ad una giornata che non può essere gettata in pasto alle semplificazioni ed al narcisismo intellettuale di chi ha probabilmente la vista annebbiata dalla fama per far luce sulla limpidezza dell’unica interpretazione possibile, quella della apertura di una scena rivendicativa che sposta finalmente l’attenzione sull’emergenza sociale del paese.

Studenti Napoletani

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Riassunto sul 14 dicembre

http://tv.repubblica.it/dossier/guerriglia-roma-protesta-black-bloc#dossier

Repubblica tv ha fatto un riassunto video sulla giornata del 14 dic.
Non mi dilungo sul discutere se la fonte sia o meno attendibile, è un collage di vari video ma rende bene l’idea di quella giornata a parer mio, anche se senz’altro ci saranno aspetti che non sono messi in luce.

Vorrei puntare l’attenzione al minuto 00.58, emblematico.
Alcuni ragazzi con casco e volto coperto, vestiti di nero lanciano oggetti, petardi o bombe-carta (non si vede bene) contro le camionette della polizia, poi scappano a rifugiarsi nel corteo: in primo piano ce n’è uno che rientra nel corteo, e gli studenti la davanti, che lo vedono, (un ragazzo, ma si sente bene anche la voce di una ragazza fuori campo) gli urlano dietro “coglione, testa di cazzo, imbecilli” mentre questo fugge all’interno..

Come comportarsi in queste situazioni?
Se ti rechi a Roma per protestare e porti soltanto i tuoi ideali, i tuoi striscioni e i tuoi slogan, la tua voglia di diritti, di giustizia e di cultura.. E poi ti trovi davanti a una strada bloccata dalla polizia, con sconosciuti che lanciano petardi e piastrelle contro la polizia, che fai? Quello che si vede nel video.. Vedi cosa succede, se c’è una carica scappi, corri. Non attacchi, non hai armi e non sei lì per essere violento. Cerchi di capire cosa succede: cerchi di scappare agli scontri e agli arresti fatti prendendo gente a caso (anzi, i meno pericolosi in genere). Cerchi di trovare un senso a quello che succede, cerchi di capire se la tua protesta può ancora avere un senso in quella giornata, e per il futuro, o se è tutto irrimediabilmente Perso…

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Lettera ai ragazzi del movimento

Riporto integralmente la lettera di Roberto Saviano che commenta a chiare lettere la giornata del 14 dicembre, condannando pubblicamente la violenza in maniera non perbenista, ma argomentata.

Lettera ai ragazzi del movimento

di ROBERTO SAVIANO

CHI HA LANCIATO un sasso alla manifestazione di Roma lo ha lanciato contro i movimenti di donne e uomini che erano in piazza, chi ha assaltato un bancomat lo ha fatto contro coloro che stavano manifestando per dimostrare che vogliono un nuovo paese, una nuova classe politica, nuove idee.

Ogni gesto violento è stato un voto di fiducia in più dato al governo Berlusconi. I caschi, le mazze, i veicoli bruciati, le sciarpe a coprire i visi: tutto questo non appartiene a chi sta cercando in ogni modo di mostrare un’altra Italia.

I passamontagna, i sampietrini, le vetrine che vanno in frantumi, sono le solite, vecchie reazioni insopportabili che nulla hanno a che fare con la molteplicità dei movimenti che sfilavano a Roma e in tutta Italia martedì. Poliziotti che si accaniscono in manipolo, sfogando su chi è inciampato rabbia, frustrazione e paura: è una scena che non deve più accadere. Poliziotti isolati sbattuti a terra e pestati da manipoli di violenti: è una scena che non deve più accadere. Se tutto si riduce alla solita guerra in strada, questo governo ha vinto ancora una volta. Ridurre tutto a scontro vuol dire permettere che la complessità di quelle manifestazioni e così le idee, le scelte, i progetti che ci sono dietro vengano raccontate ancora una volta con manganelli, fiamme, pietre e lacrimogeni. Bisognerà organizzarsi, e non permettere mai più che poche centinaia di idioti egemonizzino un corteo di migliaia e migliaia di persone. Pregiudicandolo, rovinandolo.

Scrivo

questa lettera ai ragazzi, molti sono miei coetanei, che stanno occupando le università, che stanno manifestando nelle strade d’Italia. Alle persone che hanno in questi giorni fatto cortei pieni di vita, pacifici, democratici, pieni di vita. Mi si dirà: e la rabbia dove la metti? La rabbia di tutti i giorni dei precari, la rabbia di chi non arriva a fine mese e aspetta da vent’anni che qualcosa nella propria vita cambi, la rabbia di chi non vede un futuro. Beh quella rabbia, quella vera, è una caldaia piena che ti fa andare avanti, che ti tiene desto, che non ti fa fare stupidaggini ma ti spinge a fare cose serie, scelte importanti. Quei cinquanta o cento imbecilli che si sono tirati indietro altrettanti ingenui sfogando su un camioncino o con una sassaiola la loro rabbia, disperdono questa carica. La riducono a un calcio, al gioco per alcuni divertente di poter distruggere la città coperti da una sciarpa che li rende irriconoscibili e piagnucolando quando vengono fermati, implorando di chiamare a casa la madre e chiedendo subito scusa.

Così inizia la nuova strategia della tensione, che è sempre la stessa: com’è possibile non riconoscerla? Com’è possibile non riconoscerne le premesse, sempre uguali? Quegli incappucciati sono i primi nemici da isolare. Il “blocco nero” o come diavolo vengono chiamati questi ultrà del caos è il pompiere del movimento. Calzano il passamontagna, si sentono tanto il Subcomandante Marcos, terrorizzano gli altri studenti, che in piazza Venezia urlavano di smetterla, di fermarsi, e trasformano in uno scontro tra manganelli quello che invece è uno scontro tra idee, forze sociali, progetti le cui scintille non devono incendiare macchine ma coscienze, molto più pericolose di una torre di fumo che un estintore spegne in qualche secondo.

Questo governo in difficoltà cercherà con ogni mezzo di delegittimare chi scende in strada, cercherà di terrorizzare gli adolescenti e le loro famiglie col messaggio chiaro: mandateli in piazza e vi torneranno pesti di sangue e violenti. Ma agli imbecilli col casco e le mazze tutto questo non importa. Finito il videogame a casa, continuano a giocarci per strada. Ma non è affatto difficile bruciare una camionetta che poliziotti, carabinieri e finanzieri lasciano come esca su cui far sfogare chi si mostra duro e violento in strada, e delatore debole in caserma dove dopo dieci minuti svela i nomi di tutti i suoi compari. Gli infiltrati ci sono sempre, da quando il primo operaio ha deciso di sfilare. E da sempre possono avere gioco solo se hanno seguito. E’ su questo che vorrei dare l’allarme. Non deve mai più accadere.

Adesso parte la caccia alle streghe; ci sarà la volontà di mostrare che chi sfila è violento. Ci sarà la precisa strategia di evitare che ci si possa riunire ed esprimere liberamente delle opinioni. E tutto sarà peggiore per un po’, per poi tornare a com’era, a come è sempre stato. L’idea di un’Italia diversa, invece, ci appartiene e ci unisce. C’era allegria nei ragazzi che avevano avuto l’idea dei Book Block, i libri come difesa, che vogliono dire crescita, presa di coscienza. Vogliono dire che le parole sono lì a difenderci, che tutto parte dai libri, dalla scuola, dall’istruzione. I ragazzi delle università, le nuove generazioni di precari, nulla hanno a che vedere con i codardi incappucciati che credono che sfasciare un bancomat sia affrontare il capitalismo. Anche dalle istituzioni di polizia in piazza bisogna pretendere che non accadano mai più tragedie come a Genova. Ogni spezzone di corteo caricato senza motivazione genera simpatia verso chi con casco e mazze è lì per sfondare vetrine. Bisogna fare in modo che in piazza ci siamo uomini fidati che abbiano autorità sui gruppetti di poliziotti, che spesso in queste situazioni fanno le loro battaglie personali, sfogano frustrazioni e rabbia repressa. Cercare in tutti i modi di non innescare il gioco terribile e per troppi divertente della guerriglia urbana, delle due fazioni contrapposte, del ne resterà in piedi uno solo.

Noi, e mi ci metto anche io fosse solo per età e per  –  Dio solo sa la voglia di poter tornare a manifestare un giorno contro tutto quello che sta accadendo  –  abbiamo i nostri corpi, le nostre parole, i colori, le bandiere. Nuove: non i vecchi slogan, non i soliti camion con i vecchi militanti che urlano vecchi slogan, vecchie canzoni, vecchie direttive che ancora chiamano “parole d’ordine”. Questa era la storia sconfitta degli autonomi, una storia passata per fortuna. Non bisogna più cadere in trappola. Bisognerà organizzarsi, allontanare i violenti. Bisognerebbe smettere di indossare caschi. La testa serve per pensare, non per fare l’ariete. I book block mi sembrano una risposta meravigliosa a chi in tuta nera si dice anarchico senza sapere cos’è l’anarchismo neanche lontanamente. Non copritevi, lasciatelo fare agli altri: sfilate con la luce in faccia e la schiena dritta. Si nasconde chi ha vergogna di quello che sta facendo, chi non è in grado di vedere il proprio futuro e non difende il proprio diritto allo studio, alla ricerca, al lavoro. Ma chi manifesta non si vergogna e non si nasconde, anzi fa l’esatto contrario. E se le camionette bloccano la strada prima del Parlamento? Ci si ferma lì, perché le parole stanno arrivando in tutto il mondo, perché si manifesta per mostrare al Paese, a chi magari è a casa, ai balconi, dietro le persiane che ci sono diritti da difendere, che c’è chi li difende anche per loro, che c’è chi garantisce che tutto si svolgerà in maniera civile, pacifica e democratica perché è questa l’Italia che si vuole costruire, perché è per questo che si sta manifestando. Non certo lanciare un uovo sulla porta del Parlamento muta le cose.
Tutto questo è molto più che bruciare una camionetta. Accende luci, luci su tutte le ombre di questo paese. Questa è l’unica battaglia che non possiamo perdere.

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I bravi ragazzi di La Russa

Io non guardo AnnoZero (e tra l’altro non ho neanche il digitale terrestre, anche volendo) ma mi hanno segnalato una discussione tra La Russa e uno studente della Sapienza. Me la sono cercata su internet e l’ho guardata. Lo studente, di Scienze Politiche, giurerei di averlo già visto in “visita” quì a Padova. E’ un tipo dei collettivi, si capisce lontano un miglio dal modo in cui parla, ricordo di averlo già sentito fare un intervento anche a una nostra assemblea..
Il ministro dell’Interno Maroni si è detto il 14 dicembre soddisfatto di come hanno reagito le forze dell’ordine, pronosticando che “le cose sarebbero potute andar peggio”. Sì, è vero, non c’è scappato il morto a quanto pare.
Comunque sia, da Santoro La Russa ha accusato quello studente di essere un vigliacco, il ministro della Difesa ha “sbroccato di brutto” come dice qualcuno, perchè si dava spazio a quel “vigliacco” mentre non avevano chiamato nessun poliziotto o carabiniere, non c’era nessun “bravo ragazzo che difende il paese”. Forse si riferiva ai “bravi ragazzi” in divisa casco scudo e manganello che in questo video hanno picchiato a sangue dei semplici studenti disarmati a volto scoperto accasciati per terra in posizione fetale:
http://tv.repubblica.it/copertina/il-video-che-scagiona-uno-dei-fermati/58467?video=&pagefrom=1

Possono essere molto fieri La Russa e Maroni: le forze dell’ordine non hanno fatto nulla contro i black block; mentre la gente spaccava macchine e vetrine non si sono mossi, hanno atteso in quadrato. Dopo un po’ di danni, hanno deciso che era il momento di entrare in azione: e a quel punto è stata una carica diretta contro tutti, indiscriminata, e anzi oserei dire più diretta contro gli studenti pacifici manifestanti (deboli e spaventati) piuttosto che non contro gente armata e col volto coperto. “Forti con i deboli, deboli con i forti.” E’ questo il loro essere “Semper Fidelis”.

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“La rabbia pura dei figli contro i padri”

”Ci ho pensato anche io – risponde D’Amico -. Ma allora era molto diverso”, dice anche. “All’epoca protestava una minoranza. Oggi in piazza scende la maggioranza degli studenti”. Non solo. “Nel ’68 c’era un grandissimo movimento, animato da grandi speranze per il futuro. Nel ’77 c’era una incredibile autonomia di pensiero, con la novità delle donne in piazza, per esempio. Oggi io ho visto la rabbia pura dei figli contro i padri, intesi in senso lato. L’esplosione della paura del futuro. A costo di prenderle, a costo di farsi male. Ma non erano armati“. La sensazione che l’incubo si ripeta, che sia ancora possibile una morte come quella di Giorgiana Masi, che a 19 anni finì vittima degli scontri a Ponte Garibaldi, il 12 maggio del 77, prende in ogni angolo del cuore della città. Quando di gruppi anarchici assediano le camionette delle forze dell’ordine.

Copio pari pari da un articolo dell’Ansa. Le parole di D’Amico esprimono molto bene alcune riflessioni che ho maturato nell’ultimo mese, ricordo che in particolare le parole in grassetto sembrano quasi essere tratte da alcune riflessioni che facevo qualche settimana fa andando a piedi a lezione, riflessioni che condivisi con amici, coetanei.. Gli anni ’70 sono passati, ci sono già state le rivendicazioni. Non si protesta più per un mondo migliore, per ottenere maggiori diritti, perché si spera di cambiare. Si protesta senza sorriso, senza entusiasmo. Siamo una generazione sacrificata alla storia e lo sappiamo. Siamo i figli di quelli che ci hanno venduto il futuro. Sappiamo che non ci sarà un futuro positivo per nessuno di noi: nessuno, tanto i figli dei medici quanto i figli dei calzolai. Sappiamo che il pianeta sta morendo, che le ingiustizie si aggravano di giorno in giorno. Sappiamo che la politica ci prende in giro e le istituzioni non si curano minimamente di noi. Protestiamo: ma è una protesta mesta, triste, a tratti rabbiosa. Consapevole di essere l’avvisaglia della FINE.
Non ero a Roma. Non mi pareva il caso. Sapevo che la sfiducia non sarebbe passata, e sapevo che le cose sarebbero degenerate. Lo sapevo come tanti altri, come tutti quelli che un poco s’interessano, e seguono l’attualità con occhio smaliziato. Una giornata di ordinaria follia quella di oggi, nella extraordinaria calma virulenta e putrescente della non-vita della nostra società.

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162-314 (Non è un paese per …)

Un parlamentare che “non sa cosa votare” fino a un giorno prima dalla mozione di sfiducia al governo, che uomo è?

Un deputato che cerca contatto violento in parlamento coi suoi avversari politici, che uomo è?

Un carabiniere assaltato da venti manifestanti che arretra difendendosi con il suo scudo, che uomo è?

Uno studente che marcia dietro a uno striscione rivendicando coi suoi slogan ciò che vuole ottenere, che uomo è?

Un giornalista chiuso con i deputati nel palazzo per paura di chi sta fuori, che uomo è?

Un politico che commenta la sconfitta di un avversario dicendo “l’ho visto con una faccia un po’ smorta, avrebbe bisogno di uno zabaione”, che uomo è?

Un blogger che pranza in appartamento, discutendo col coinquilino di politica, poi siede sul divano e scrive su internet, che uomo è?

Questi uomini che Paese possono costruire?

(ndA. per “uomo” si intende appartenente alla razza umana. chi non è d’accordo con questo termine lo vada a dire a chi coniò la radice sanscrita “bhu-” 🙂 )

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Un ciottolo di attualità

Oggi avevo un pochino di tempo da dedicare al blog, tempo contato ma pur sempre tempo. Volevo scrivere un paio di cosine d’attualità ma sono stato assorbito dall’approfondimento nei link di un commento al blog e dall’interessante discussione in merito al programma di Saviano su un altro blog, pertanto mi son dedicato a quello, e con vera gioia. Molto più interessante a mio avviso leggere e ascoltare che scrivere e parlare, o meglio, non può esserci la produzione se non c’è scambio, elaborazione, interiorizzazione!

Volevo solo soffermarmi su questo ciottolo di notizia: ho visto sull’ANSA le foto del “PD Pride”. Alcuni scorci: La piazza con bandiere tricolori ma con forma “inusitata” (non è la bandiera nazionale, ma quella del PD), e un Bersani ottimista che presenta il pugno chiuso. Le reazioni a questo genere di documenti sono differenti: in parte un moto di plauso ottimistico per il fatto che non tutti gli italiani si sono veramente stufati della politica, e c’è ancora qualcuno (ho visto molte facce giovani) con idealismi da perseguire. D’altro canto una sensazione di veder “cavalcare l’onda” con dei risvolti che oserei quasi dire “populisti” se non fosse che la parola non mi piace, in quanto abusata. Questi miei sono solo pensieri-feedback del momento, non ho elaborato nulla a riguardo. Condivido nella speranza che anche a voi facciano pensare qualcosa. Ciao!

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Colpo grosso su Faccialibro

http://www.bbc.co.uk/news/technology-10796584

A questo collegamento potrete trovare un interessante articolo in lingua inglese scritto da Daniel Emery, technology report per la BBC. Riassumendo veramente in poche parole, un tale Ron Bowles avrebbe usato un codice per raccogliere i dati non riservati di 100 milioni di utenti di Facebook, creando un’enorme lista tranquillamente scaricabile dal sito thepiratebay,  noto per ospitare materiale di vario genere (sono scaricabili video, film, canzoni etc…). L’intento sarebbe stato quello di evidenziare la mancanza di sicurezza di Facebook o meglio quante siano le informazioni visibili a disposizione di qualunque persona entri nel sito senza registrarsi. In un comunicato alla BBC Facebook scrive: “People who use Facebook own their information and have the right to share only what they want, with whom they want, and when they want,”. In pratica Facebook ricorda che tutti coloro i quali si iscrivono possono scegliere a che livello porre la propria protezione della privacy e nessuno è costretto a scrivere nulla che non voglia, insomma, per stringere, che non c’è nulla di eccezionale. I dati raccolti sui 100 milioni di utenti sarebbero dati che quelle persone volevano tenere pubblici, e pertanto non ci sarebbe niente di scandaloso.
Il signor Simon Davies della Privacy International (“human rights group formed in 1990 as a watchdog on surveillance and privacy invasions by governments and corporations”) ha però fatto notare che questo avviene a causa della confusione a riguardo le opzioni di privacy, ovverosia gli utenti non sono consapevoli di preciso di che cosa stanno condividendo pubblicamente o meno. Questo può essere considerato per certi versi una loro “leggerezza”, ma molti utenti si sono lamentati varie volte della complessità delle opzioni di privacy. Quel che per me risulta certo è che si è giunti a livello comune a una svalutazione molto alta della propria privacy, e questo è senz’altro stato favorito da Facebook. Posso dirlo in quanto sono un ex utente, e ben ricordo come il servizio inviti in maniera simpatica e leggera a condividere, scrivere, aggiungere informazioni: certo, la scelta sta all’utente, ma credo che in certi casi si venga a creare una vera e propria forma di dipendenza e morbosità. Vedere cosa fanno gli altri, avere la necessità di dire al mondo che si ha un nuovo brufolo o che ieri sera ci si è ubriacati, condividere le foto più imbarazzanti, avere un alto numero di “amici”, giocare alle nuove applicazioni, che guarda caso utilizzano i profili delle persone, e non di personaggi per giocare. Quando inviti un amico a unirti alla tua “banda di gangster” in un gioco, oppure a venire a trovarti nella tua “nuova casetta”, stai invitando Tizio Caio con nome cognome, età e foto, che diventano così visibili in maniera sempre più leggera e inconsapevole per tutti.

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Fermenti di sciolti

Autogestione liceo machiavelli

Segnalo questo video molto interessante, l’ho trovato sul TuoTubo cercando gli interventi dei parlamentari riguardo al ddl gelmini del 30-11-2010. Mi ha colpito per la sua diversità rispetto alle immagini e ai video che sono stati pubblicati dalla maggior parte dei media: non è la solita manifestazione, blocco, corteo, contestazione. Non c’è polizia, non c’è violenza. Si tratta di un reportage di 14 minuti sui 2 giorni di autogestione di un liceo milanese scientifico – classico ma anche istituto professionale. So bene che in 14 minuti non puoi mostrare tutto quello che succede, e che le telecamere (così come le macchine fotografiche) hanno sempre un punto di vista privilegiato, particolare, che ti mostra esattamente quello che ti si vuol far vedere. Eppure penso di poter credere in buona fede al fatto che l’autogestione si sia svolta così come si vede nel video, e mi confermano in questo senso le parole finali dell’adulto che interviene, probabilmente il Preside: pur non avendo avuto i crismi della legalità, è stata gestita in maniera seria e matura, rispettando gli spazi, senza sporcare. Anche le parole del docente che per qualche minuto viene mostrato durante un intervento mi sembrano positive: si invitano gli studenti a non farsi strumentalizzare da nessuna parte politica, né da eventuali docenti politicizzati, insomma si invita a costruire ragionamenti propri, sapere critico, e non semplicemente ripetere ciò che i genitori, i media o “gli adulti” propugnano. Le dottrine politiche insomma non vanno prese a pacchetto chiuso, impadronendosi dei simboli e degli slogan senza sapere, senza avere coscienza. Il problema è più che mai attuale e lo vedo sempre nelle strade delle città dove gli adolescenti si caricano di simboli e linguaggi politici (peraltro superati) per apparire più avanti, più grandi, più forti, più spavaldi. Credo sia importante far arrivare il messaggio: pensate con la vostra testa, ma soprattutto, partite dalle cose reali, tangibili, che conoscete nella realtà quotidiana. Per costruire un futuro migliore bisogna partire dalle necessità reali: socializzazione invece di esclusione, servizi efficienti, fondi all’istruzione, attenzione e maggior peso alle proprie idee, per esempio. Un altro dato significativo è stato notare come anche lì sia arrivata la trasmissione “Vieni via con me”, l’ultima puntata in precisione. Saviano parla degli studenti, delle università occupate, e cita Calamandrei, esalta la Costituzione come principio e meta, materiale vivo non solo da difendere ma da costruire. E’ secondo me importante questo segnale perché la stessa trasmissione è stata mandata in varie facoltà occupate (ad esempio la mia) e sicuramente seguita da numerosi studenti, ricercatori, docenti, laureati in generale. Al di la delle numerose polemiche sulla trasmissione, è innegabile il merito che ha avuto nell’aprire una finestra sull’Italia reale, vera: basta con le rappresentazioni “canoniche” del Belpaese o quelle “catastrofiche” dei telegiornali. L’Italia non è né bianca né nera. Saviano e Fazio hanno portato in tv una serie di situazioni reali presentandone varie sfaccettature: per esempio il movimento studentesco, sì al centro di manifestazioni con esiti talvolta violenti, ma anche colorato, vivace, giovane, vivo e propositivo. Si è parlato sì di Welby, del dolore della sua situazione, dolore che nessuno nega, ma anche della dolcezza e dell’amore della sua vita pienamente vissuta. Tra l’altro nell’ultima puntata ho apprezzato la dignità cono cui è stato dato l’annuncio della morte di Monicelli: nessun riferimento al come o al perché, nessuna strumentalizzazione. Che dire poi di Dario Fo’? A ripensarci mi emoziono un po’, avendo ascoltato la sua partecipazione tra i banchi dell’aula universitaria, in mezzo agli altri studenti affratellati. Non è però della trasmissione (né encomiastico né polemico) che volevo parlare, anche se è un buon esempio di come il popolo italiano abbia sete di realtà, vuole che ci si occupi della vita reale, della quotidianità, del bello e del brutto, delle difficoltà e dei bisogni tangibili: e dato che i media hanno il potere di mettere queste cose in tavola a tutto il Paese, visto che i media possono accendere le discussioni politiche nel Parlamento e nei bar di provincia, allora è di questo che i media devono parlare. Non più di veline, escort, feste private, guerre tra potenti. L’Italia reale ha fame di lavoro, sanità, solidarietà, unità nazionale, autonomie locali, ricerca, progresso economico e sociale, dignità, bellezza, magia. L’Italia mediatica ci nutre invece di paura, odio, gossip, arroganza, egoismo, presunzione. I media dovranno fare un grande passo, o rischieranno che gli italiani si rendano conto che non hanno più bisogno d’essi, come è avvenuto quasi totalmente con la classe politica.

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Non si fa la rivoluzione

Come ben dice una canzone di Frankie Hi-Nrg. E’ veramente difficile cercare di trovare un senso logico alle azioni della popolazione. Certo è stato detto e scritto molto sul valore o disvalore delle manifestazioni popolari, chi ritiene che svelino la vera legittima volontà del popol sovrano, chi pessimisticamente (realisticamente?) ritiene che si perda tutta la carica creativa che è propria dell’individuo, se ne svilisce la capacità intellettuale ed espressiva in favore di un’omologazione fin troppo spesso manovrabile e manovrata. Circoscriviamo però il quadro degli venti. E’ la mattina del 30 novembre 2010 e si voterà alla Camera la riforma Gelmini (legge 1905), le proteste infuriano in ogni città universitaria d’Italia. Gli studenti nei giorni scorsi sono saliti sulla torre di Pisa, hanno “conquistato” il Colosseo, la Mole di Torino, la Basilica di Sant’Antonio a Padova, etc… Numerose le facoltà occupate, come Lettere e Filosofia di Padova al Palazzo Liviano, dove mi trovo. Dopo l’occupazione notturna che ha contato la proiezione serale di “Vieni via con me” di Fazio e Saviano su RaiTre (dove tra l’altro hanno parlato di noi, delle occupazioni e persino della Basilica del Santo), musica e ballo nell’Atrio della facoltà e infine dormita (per terra o sulle panche) dalle 3-4 circa alle 7.30, siamo quì a rimetterci in moto e chiacchierare. Dopo più di 2 ore dal risvegliamo ci siamo ormai quasi ripresi, i soliti organizzatori scambiano messaggi per accordarsi con le altre facoltà. E’ in previsione una serie di cortei/blocchi del traffico che dovrebbero poi unirsi in un punto comune, lo scopo è creare disagio. Scrivo mentre si chiacchiera e fuma una paglia, vedo qualche cartellone e una bandiera pirata ma poco altro a segnare l’occupazione, certo c’è gente in Atrio e le lezioni sono sospese, in parte per decisione dei singoli docenti e in parte su nostro invito, ma tendenzialmente si vuole rispettare questa giornata di protesta. L’attesa è pigra e vuota e dedico un titolo così aspro all’articolo perchè mi capita di scontrarmi con una delle tante contraddizioni che animano il movimento. Ho parlato con uno dei leader della facoltà, rappresentante, con cui sono in rapporti distesi e abbastanza cordiali, gli ho proposto di bendare la statua del Tito Livio, simbolo della facoltà, come gesto di valenza simbolica. Il grosso omone marmoreo chino sul libro bendato dall’attuale politica culturale del Paese. Forse è destino che il saggio non venga privato della facoltà di vedere, certo più ciechi siamo noi di lui e a lui dovremmo ispirarci nella dedizione allo studio. Non è di quest’ordine purtroppo la risposta, ne politica ne filosofica ne retorica, bensì di ordine legale. “Se tocchiamo la statua siamo passibili di denuncia” la risposta mi scoccia e mi sciocca. Come, anche se mi appoggio? “Se non ti appoggi tecnicamente puoi farlo” Rimango basito. Tu che stai per andare in strada a bloccare il traffico, coi tuoi ideali (suppongo) e le tue pratiche politiche senza bisogno di permessi, ti fai problemi di ordine legale rispetto a un atto simbolico non violento e non vandalico? Questo mi fa riflettere. Prima sulla dinamica di gruppo: in branco ci si deresponsabilizza, si può compiere qualsiasi cosa, è galvanizzante. Come individui con responsabilità civili e penali agire diventa scomodo. Poi approfondisco, vado oltre il malcontento. Che sia davvero a causa del radicamento della legalità? Certo è che il nostro popolo italiano è abituato a difendersi e a offendere usando la legge, il diritto. Può darsi forse che sia anche un radicato rispetto per la legge? Non so dire. Le leggi che vengono approvate scontentano in molti, e fomentano la nascita di gruppi locali attivi contro svariati problemi (no tav, no dal molin, proteste di Terzigno,etc…) evidenziando come le regole dei potenti non siano in grado di risolvere i problemi gravi e fattuali del Paese. Se però prendo per buono che in parte noi abbiamo un rispetto forte per la legalità, ne consegue che quando manifestiamo non lo facciamo per creare dei cambiamenti in qualcosa di nuovo, bensì per “ristabilire un modello ideale” di democrazia e legalità basato su quanto già prodotto dalla Storia, non si cerca insomma una soluzione nuova rispetto alla forma bensì si vorrebbe tornare a preseguire un modello di democrazia tradito e osteggiato, che nella nostra mente potrebbe portare al benessere e alla felicità. Su questo dunque l’istruzione statale avrebbe vinto, nel convincere la popolazione della bontà del sistema democratico repubblicano previsto dalla Costituzione. Non è mio intento dare un giudizio di merito in proposito, eppure è possibile che il sistema di welfare, di Stato sociale a cui si anela sia un sogno anacronistico rispetto al mondo attuale che viviamo. E’ pur vero che l’Utopia affascina e trascina e chi si muove per degli ideali va ammirato se agisce per propositi di uguaglianza e libertà per tutti, ma questo è più un sistema che un fine, un meccanismo e non l’essenza stessa della felicità. Chissà se siamo ancora in grado di pensare nuovi mezzi per realizzare il fine, coerenti con la realtà in cui viviamo.

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